Tuesday, August 28, 2007

INCONTRARE UN'ESPERIENZA


Un'esperienza.
Forse bisognerebbe spiegarlo a qualche giornalista che tenta di raccontare il Meeting di Rimini senza averlo vissuto, che questa é la dimensione ultima di quel che accade in Fiera ogni anno, alla fine di agosto.
E anche a quelli che lo censurano, semplicemente non parlando di un evento che solo quest'anno ha richiamato più di 700.000 partecipanti.
Un'esperienza, come punto di partenza, imprescindibile, e allo stesso tempo punto d'arrivo, perché se si esce dalla dimensione di un avvenimento, qualcosa che accade e di cui ciascuno può essere protagonista, allora difficilmente si riesce a capire cos'é.

Può essere che chi censura o non comprende non capisca al fondo il ruolo dell'esperienza nella vita di ogni singolo individuo.
Lo spiega bene Antonio Spadaro, in un suo editoriale estivo (1) : essa, nel relativismo di oggi, sembra essersi "svalutata come fonte di autorità e di saggezza" o, peggio, arriva a ridursi a "semplice esperimento".
Esperienza, nel suo significato più profondo, é invece qualcosa che Emilia Guarnieri, presidente dell' Associazione Meeting per l'amicizia tra i popoli, fa intravedere, durante l'incontro conclusivo di quest'anno: "anche il Meeting c'é e continua a essere vivo perché questa storia di affetto e di amicizia tra noi é viva. Perché se non fosse così, anche il Meeting, come tutte le altre cose che facciamo nella nostra vita, non ci sarebbe. Diceva Claudel: "C'é un grande Mistero tra noi" ed é da questo Mistero che noi siamo commossi ed é a questo Mistero che siamo grati. E poiché il Mistero é proprio Mistero, se é vero che non si può prevedere come questo Mistero accadrà, é anche vero che si può raccontare come ci ha cambiato, si può raccontare cosa é accaduto" .

Allora anche per me questo non può che essere il punto di partenza, partire da quello che ho visto accadere e che ho vissuto in prima persona.
Quando arrivo al Meeting quest'anno, insieme alla mia famiglia, mi sento un po' come un contenitore vuoto.
Sentirsi aridi, capita nella vita di passare momenti così.
Croci, stanchezza, soprattutto la durezza del proprio cuore.
E allora arrivo lì con una grande domanda, il desiderio di un cambiamento.
Ma il contenitore, anche se vuoto, non é semplice da riempire: il coperchio é ancora chiuso ben bene.


Appena arrivato a Rimini rimango subito colpito dai volontari: sono più di tremila, giovani, tantissimi giovani, ma anche adulti ed ogni volta é uno spettacolo.
Avevo letto sul Corriere della sera di qualche giorno fa un commento di Giancarlo Cesana, alla domanda se c'era qualcosa del Meeting cui lui tenesse in modo particolare; aveva risposto : "sì, la gratuità dei volontari, giovani e adulti, padri e madri di famiglia che rinunciano a una settimana di ferie per lavorare non solo gratis, ma pagandosi vitto e alloggio. Chi glielo fa fare se l'esperienza di quello che hanno incontrato al Meeting non é vera ?"
E' davvero così e lo cogli in mille sorrisi ed in un'instancabile disponibilità.
E' il primo scossone per me ed il coperchio inizia ad aprirsi un po'.


Il secondo scossone arriva in una delle sale. Inizia l'incontro "Chi é l'uomo perché io lo curi" (2).
Quando Mario Melazzini, primario oncologo e malato di SLA - la maledetta sclerosi laterale amiotrofica - inizia a parlare, é come una fucilata sparata all'improvviso.
Parla della sua attività di medico, poco prima che arrivasse la malattia: "pensavo di essere una persona estremamente attenta all'altro, ma non mi sono mai fermato a chiedermi chi é l'altro".
D'improvviso mi riconosco in quell'affermazione ed il coperchio del mio contenitore questa volta si apre del tutto.
Non posso fare altro che aprire il cuore a ciò che sta accadendo ora.

Le sue parole mi conquistano poco a poco.
Quell'uomo, seduto su una carrozzina, un tutore a sorreggere il capo, l'eloquio già in parte compromesso, conosce bene - da medico - l'inguaribilità della sua malattia; eppure parla di speranza perché dice di conoscere solo l' "inguaribile voglia di vivere" (3).
Quando aveva scoperto d'essere ammalato, egli, lontano dalla fede, aveva considerato la possibilità dell'eutanasia. Ora conclude il suo intervento così: " é bellissimo vedere una sala così colma per ascoltare delle esperienze e delle riflessioni di persone che si pensa sempre abbiano vissuto, abbiano incontrato il dolore e la sofferenza. No, io vi posso garantire che ringrazio Dio di avere incontrato questa malattia; di averla incontrata tardi, ma non é mai troppo tardi, di avere imparato quali sono i veri valori della vita. E la verità forse sta proprio qui: avere il coraggio di amare e di farsi amare, di accettare i propri limiti e di condividerli con gli altri. Vivere é la cosa indispensabile. L'amore per la vita é la benzina che mi permette di affrontare con serenità queste mie difficoltà, che vi posso garantire sono parecchie. E' talmente bello vivere che io non sono malato: sì, ho la sclerosi laterale amiotrofica, ma finché ci sarò io ci sarà anche lei: cammino insieme a lei".
Prima di Melazzini aveva parlato Pierre Mertens, psicoterapeuta belga, oggi presidente della Federazione internazionale per la spina bifida e l'idrocefalo, raccontando dell'esperienza di sua figlia Liesye, affetta da spina bifida e vissuta sino all'età di 11 anni (4).
E' una testimonianza appassionata, di una bambina che viene definita "una bimba felice, probabilmente la più felice di tutta la mia famiglia". Liesye é affetta da una patologia per la quale un gruppo di medici olandesi ha persino proposto un protocollo di eutanasia attiva (5), ma l'esperienza di Mertens é esperienza di vita, non di morte: "la sua breve vita é stata la cosa più bella che sia mai capitata a me ed alla mia famiglia".
Si tratta di qualcosa di forte, anche perché, come dice al termine Felice Achilli, moderatore dell'incontro, ne emerge un "giudizio" che sostiene la vita e questo giudizio é qualcosa di oggettivo; così oggettivo che Mertens stesso giunge ad affermare : "questo mondo sarebbe un mondo migliore senza l'esistenza dei disabili ? Probabilmente no".


Sono davanti all'ingresso de "La città nella città", la mostra preparata dall' Associazione Cometa (6).
Chiara, la più grande dei miei figli é in giro per la Fiera in pattini, a caccia di gadgets; alla fine della giornata avrà saccheggiato tutti gli stands. Mia moglie é al Villaggio Ragazzi, con gli altri due nostri figli. Ci siamo dati il cambio per assistere alla visita guidata della mostra: stamani era andata lei e tornando mi aveva detto che non me la sarei dovuta perdere per nessun motivo.
Le mostre sono un'altra delle cose belle del Meeting e sono tutte guidate.
Questo é un altro piccolo miracolo che accade qui: volontari che si mettono a disposizione, studiano una mostra, ne incontrano i protagonisti e quindi fanno esperienza di quello che poi si mettono a spiegare ai visitatori.
"Una storia di semplice comunione", la mostra sottotitola così e, mano a mano che la seguo, m'immedesimo poco alla volta in questa vicenda, nata da un semplice sì, quello di Erasmo ed Innocente Figini, due fratelli che, con le rispettive famiglie decidono di accettare un bambino in affido. Nel tempo l'accoglienza si amplia e le famiglie diventano quattro, mediamente con dieci ragazzi a testa, tra i figli naturali e quelli in affido. Ma si affiancano anche volontari e nascono scuole, un'associazione sportiva, un progetto educativo, insomma una vera e propria "città nella città".
Quando arrivo alla fine della mostra mi colpisce una frase di Don Giussani: "la cosa più grande che si possa vedere nel mondo é che certi uomini siano uniti tra loro come membra di un unico Corpo. Non perché impegnati in una certa opera, ma perché chiamati dallo stesso gesto di Cristo, da un identico avvenimento, così che, pur non conoscendosi minimamente, fino a quel momento del tutto estranei, sono e si riconoscono legati agli altri in modo imparagonabile".
Estranei sino ad un istante, prima, ma legati in modo imparagonabile.
Come i bambini, quando giungono a Cometa in affido.
E come quel nuovo amico, che ha guidato la mostra a cui ho assistito, e di cui ho incrociato per un attimo lo sguardo, poco dopo che aveva letto la frase di Giussani.


Al Meeting di quest'anno il dvd dell'ultimo concerto di Chieffo (7) é andato letteralmente a ruba. L'ho comprato anch'io e l'abbiamo guardato appena arrivati a casa. Aveva cantato proprio al Meeting dell'anno scorso ed ha salutato questo mondo il giorno d'inizio di quello di quest'anno. "La verità é il destino per il quale siamo stati fatti", recita il titolo questa volta: la Verità, lui, l'aveva cantata per tutta la vita, ora ha raggiunto il Destino che ha così tanto amato.
A un certo punto del concerto, tra una canzone e l'altra, dice: "(...) pensate che a quei tempi c'era il più grande cantautore e pirata della storia, Bob Dylan, che cantava che la risposta non c'era. Cosa dovevo fare io se lui aveva un'ammiraglia pirata ed io una barchetta a remi ?Io l'avevo incontrata questa risposta, lo dovevo dire. E feci queste canzoni: "la ballata della società", "la ballata dell'uomo vecchio", che erano il segno di quella risposta che avevo incontrato io, che era Cristo. Guardate che non si può tacere solo perché si pensa di non avere i mezzi adeguati. E queste canzoni, a quanto mi risulta, sono cantate tuttora esattamente come le canzoni del grande Bob, dopo quarant'anni".
Grande Bob, ma grande, grandissimo Claudio.
E ancor più grande all'inizio del concerto, quando racconta di un giornalista che gli aveva detto: "ho capito che lei non ha un pubblico, ha un popolo" ed al quale lui aveva risposto "guardi, non ha capito fino in fondo, io faccio parte di questo popolo, ed é tutta un'altra cosa"
Già, parte di un popolo.
Strano ma vero, anch'io, ascoltandolo, mi sono sentito così.


E' ora di ricominciare, nel quotidiano di ogni giorno.
Il contenitore alla fine si é riempito, ma non si é reso colmo da solo.
E' stato riempito da Qualcosa che é accaduto.
E' stato riempito da Qualcuno.
Poco prima di uscire dalla Fiera di Rimini, ci fermiamo ancora: incontriamo amici fino all'ultimo istante. Siamo un po' di corsa ormai, ma mia moglie mi spiega poco dopo il senso di ciò che accade: "sembra di perdere tempo - mi dice - ma invece non é così; é il senso di quel che abbiamo sentito sinora: questa é l'incarnazione".
Ha proprio ragione ed é un vero e proprio sussulto.
Il contenitore é tornato finalmente ad essere un cuore.


Note:
(1) Antonio Spadaro - "Ma che significa vacanza?"
http://www.bombacarta.com/?p=455#more-455
(2) La replica dell'incontro é visibile sul sito del Meeting: http://www.meetingrimini.org/
(3) Massimo Pandolfi - L'inguaribile voglia di vivere - prefazione di M.Melazzini - ed. Ares
(4) Pierre Mertens - Liesye, mia figlia - ed. Cantagalli
(5) The Groningen Protocol - Euthanasia in severly ill newborns - N Engl J Med 352; 10, 2005
(7) Claudio Chieffo - Concerto per un amico - dvd . http://www.claudiochieffo.com/

Saturday, August 25, 2007

CIAO CLAUDIO


Claudio Chieffo
9 marzo 1945 - 19 agosto 2007

"(...) Nella mia vita ho avuto modo di toccare con mano tante volte e con tanta evidenza la presenza di Dio: l'amore di mia moglie e dei miei figli, i volti dei miei amici, l'appartenenza a un popolo, e tante cose che mi sono accadute.
La prima percezione che ho avuto quando i medici mi hanno dato notizia del mio male, é che non mi sia venuta addosso una disgrazia, ma che anche questo é un modo - certo dolorosissimo - di far emergere e di testimoniare la gloria di Dio.
Altrimenti sarei un dis-graziato, uno che non riconosce ciò che la Grazia ha operato e opera nella sua esistenza.
Non si può campare da dis-graziati, sarebbe come negare che la Grazia possa arrivare.
Sarebbe come smettere di sperare.
E io non smetto."
(Claudio Chieffo)