Friday, May 30, 2008

WE'RE WALKIN' TOGETHER


Una mattina qualunque di un giorno in ospedale.
Squilla il telefono della centralina dell'unità coronarica: "dottore, è per lei".
Prendo la cornetta svogliatamente: ci sono già abbastanza guai oggi, chi è che mi cerca ancora? Dall'altro capo del telefono c'è Gianni, non mi aveva mai chiamato sul lavoro prima d'ora: "Ciao Fausto, come stai? Sai, oggi ti pensavo, sono riuscito finalmente a farmi stampare la foto che mi avevi chiesto tempo fa..."
Di quella foto non mi ricordavo quasi più. E quando l'avevo chiesta a Gianni, più di un anno prima, ero sicuro che, con tutti gli impegni che aveva, non sarebbe mai riuscito ad accontentare quel mio piccolo desiderio.
Corsi a prenderla, appena possibile, qualche giorno dopo. Ritraeva Chiara Lubich e don Luigi Giussani, insieme e sorridenti, mentre si stringono la mano in piazza San Pietro, a Roma, la vigilia di Pentecoste, il 30 maggio 1998.
Quello di Gianni, quel mattino, fu un momento tanto inatteso quanto opportuno.
Un atto gratuito, arrivato all'improvviso, e capace di dare alla giornata quell'anima che le mancava.  Qualcuno - un amico - mi aveva ricordato Qualcosa e quel gesto mi rimise in sintonia col quotidiano, dandogli la solennità che, da solo, non vedevo quasi più.



Quel 30 maggio di dieci anni fa sono là anch'io, in una Piazza San Pietro gremita di folla, un popolo che arriva a riempire anche tutta Via della Conciliazione, fin laggiù in fondo, nei pressi delle mura di Castel Sant'Angelo.
Giovanni Paolo II ha chiamato a raccolta tutti i Movimenti e le nuove comunità ecclesiali, per dirgli quanto la Chiesa li senta parte di sè e quanto lei stessa guardi a loro come maestri di vita.
Ogni Movimento quel giorno appare per ciò che è realmente: un dono dello Spirito Santo per gli uomini. E chi è lì in quella piazza percepisce come certa questa realtà della storia, in cui Dio è presente e non smette mai di assistere il suo popolo e l'umanità intera.

Sono arrivato qui con gli amici, ma mia moglie è a casa, in attesa del nostro secondo bambino e segue tutto attraverso la tv. Non c'è differenza, però: la sento presente come se fosse lì al mio fianco, in mezzo a quella folla.
E, man mano che la giornata trascorre, assisto al miracolo che il mio cuore attendeva da tempo.
Quella che vedo accadere coi miei occhi, quella che sento raccontare - l'unità tra i Movimenti - è la storia della mia vita. Il mio matrimonio, nel suo essere piccolo laboratorio di cammino insieme, da quel momento in poi diventa parte del patrimonio della chiesa. La nostra unità nella diversità - mia moglie dentro al solco del carisma di don Giussani, la mia vita dietro alla storia di Chiara Lubich - oggi viene sancita e proclamata quale tassello insostituibile nel mosaico della vita cristiana.
Scriverà don Giussani, a pochi giorni di distanza da quell'evento:
"Sabato, l'incontro con Giovanni Paolo II, per me è stata la giornata più grande della nostra storia, resa possibile dal riconoscimento del Papa. E' stato il "grido" che Dio ha dato a noi come testimonianza dell'unità, dell'unità di tutta la Chiesa. Almeno io l'ho avvertito così: siamo una cosa sola. L'ho detto anche a Chiara e a Kiko che avevo di fianco in piazza San Pietro: come si fa, in queste occasioni, a non gridare la nostra unità?"



Il discorso di Don Giussani di quel giorno, davanti al Papa, mi aveva insegnato una volta per tutte il significato della parola mendicanza; e mi era parso di capire un po' di più il bisogno vero della vita:
"il mistero della misericordia sfonda ogni immagine umana di tranquillità o di disperazione (...) Questo l'abbraccio ultimo del Mistero, contro cui l'uomo - anche il più lontano e il più perverso o il più oscurato, il più tenebroso - non può opporre obiezione: può disertarlo, ma disertando se stesso e il proprio bene. Il Mistero come misericordia resta l'ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l'esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo".



Prima di lui Chiara Lubich aveva tratteggiato al Santo Padre il significato di quella definizione che lui stesso aveva dato del Movimento dei Focolari, definendolo capace di un "radicalismo dell'amore".
Aveva detto Chiara: "E come non può essere così se lo sguardo di tutti coloro che fanno parte del movimento è sempre puntato, come a modello, su Gesù crocifisso nel suo grido d'abbandono? L'amore più radicale è proprio lì, dove è il culmine del suo patire. E' in Lui - che abbandonato dal Padre si riabbandona al Padre, che sentendosi disunito dal Padre con Lui si riunisce - il nostro segreto per ricomporre in unità ogni divisione, ogni separazione, dovunque".
La conclusione del discorso diventa una promessa per il futuro: "Sappiamo che la Chiesa desidera la comunione piena fra i movimenti, la loro unità che, del resto, è già iniziata. Ma noi vogliamo assicurarle, Santità, che essendo il nostro specifico carisma l'unità, ci impegneremo con tutte le nostre forze a contribuire a realizzarla pienamente".


Le parole di Giovanni Paolo II, che seguono le testimonianze di Chiara, don Giussani, Jean Vanier e Kiko Arguello, sono di gioia e riconoscimento che ciò che sta accadendo è qualcosa di speciale: "oggi la Chiesa goisce nel constatare il rinnovato avverarsi delle parole del profeta Gioele: "Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona.. "(At 2, 17). Voi qui presenti siete la prova tangibile di questa "effusione" dello Spirito. Ogni movimento differisce dall'altro, ma tutti sono uniti nella stessa comunione e per la stessa missione".
Il suo richiamo finale è l'amicizia e il coraggio di cui ciascuno, in quella piazza, sente di avere adesso bisogno: "Oggi da questa piazza, Cristo ripete a ciascuno di voi: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura (Mc 16, 15). Egli conta su di voi, la Chiesa conta su di voi. "Ecco - assicura il Signore - io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Sono con voi!"

Nel ritorno a casa, quel giorno, non c'è stanchezza, ma solo forza rinnovata.
Nelle migliaia di volti di Piazza San Pietro, nella gioia di chi mi è stato accanto, quell'unità proclamata dalla Chiesa l'ho vista già sofferta e vissuta e perciò testimoniata.
E' per questo che il Papa e i fondatori dei movimenti l'hanno potuta raccontare, perchè non si può narrare se non di ciò che non sia già accaduto e che, grazie a Dio, sta accadendo ancora.
Ma dentro di me c'è una gioia in più: penso a mia moglie che ritroverò a casa, alla mia famiglia, alla nostra esperienza insieme. E ripenso alle parole del Papa con sollievo: oggi, in quella Piazza, gli ho sentito raccontare della mia vita.
Quella foto di Chiara e del don Gius, regalo di Gianni, oggi campeggia nell'angolo buono del salotto di casa.
E' una bella foto ed è bello lo sguardo tra i due.
Uno sguardo che, da allora, protegge ogni giorno il nostro cammino.


Thursday, May 22, 2008

DOLCE RESISTENZA

"il mondo fa il suo viaggio e dentro a questo noi facciamo il nostro,
credendo fino in fondo in quello che magari vale davvero di più.
Vi chiedo di salire sulla mia chitarra, di arrivare dentro la mia voce, di suonare e "scrivere" insieme a me.
E' la strada che facciamo insieme, i sorrisi, le lacrime, la forza, l'amore ed i "pezzi di resistenza" che cerchiamo di fermare sotto il nostro cielo, che ci fanno essere vicini in modo speciale."

(Massimo Priviero)
DOLCE RESISTENZA
Riascolto del disco di un amico,
dentro le righe dritte e storte della mia esistenza


Massimo Priviero è l'unico vero rocker italiano.
Ce ne si convince non solo ascoltandolo nei suoi dischi e dal vivo, ma anche sentendolo parlare. In un'intervista di un po' di tempo fa diceva: "In Italia ci sono i cantautori, i cantanti. Ai cantautori non è stato mai chiesto di usare la voce in modo particolare, di curare i testi sì, ma la voce non era mai così importante. Mentre per me la differenza la fa la voce (...)" E poi aggiunge, parlando sempre dei "cantautori": "(...) ed i suoni sono sempre quelli".
E invece a Massimo non manca nulla: la voce, i suoni, quello che cerca chi ama il rock, quello vero. Comprese l'anima e il cuore, però, senza le quali anche il rock, come tante altre cose della vita, diventa la caricatura di se stesso.
Poesia insomma, per dirla in una parola sola.
Quella che nasce da chi è capace di prendere le persone e farle diventare amici, trascinarle dentro a una chitarra, e trasformarle in musica con lei.
Dolce Resistenza è uno dei dischi più belli di Massimo.
L'ho ascoltato a lungo e piano piano è entrato nelle mie vene e nei miei percorsi autostradali.
E' diventato la colonna sonora dei miei ultimi pensieri.
Così è stato inevitabile che s'infilasse anche tra le righe dritte e storte di tante giornate, fatte di tutto e di niente, di un quotidiano sul quale un Altro riesce sempre, mio malgrado, a scrivere il Suo spartito.
Il risultato è questo qua: canzoni messe di fianco a vita e sensazioni.
Provate a leggerle se vi va, è roba senza pretese: "Io sono io", canta Massimo e le mie righe sono quel che sono.
Ma la segreta speranza è che vi venga voglia di ascoltare il disco: vi assicuro che ne vale davvero la pena.
E chissà che non accada qualcosa anche a voi.

Cammino solo nel mio tempo e guardo il sole mentre scende giù
E chiamo ancora sai il tuo nome nel silenzio
Ma ogni passo ha la sua storia e ora tu non ci sei più
Lo sai Tommy il tempo viene il tempo va
Ci rivediamo sai un po' più in là
Mi manchi molto sai, chissà come ti va
(Tommy Eden)


Quanti amici hai perso di vista nella vita?
Compagni di strada dei sentieri grigi, spicchi di sole o nubi di pioggia comparse all'improvviso.
Hai dentro rimorsi per averli smarriti, talora anche rancori; ma fai uno sbaglio, perchè la vita è così: apre e chiude strade di continuo.
Spesso mi domando dove siate finiti. Ora che ho percorso tante vie, che vorrei raccontarvi le battaglie, i ponti attraversati, i fiumi guadati in qualche modo. Ora che vorrei sentirmi dire delle guerre che avete visto voi.
Ancora la vita, se Dio vorrà, riaprirà nuove strade e c'incontreremo di nuovo : "ci rivediamo un po' più in là. Mi manchi molto, sai, chissà come ti va"...


Quante volte abbiamo scalato montagne,
Per sparare al cielo e cercare dei sogni.
Quanti giorni malati e non puoi farne senza,
Quanto ancora mi chiedi dolce mia resistenza.
Siamo solo soldati che marciano stanchi,
In cerca di passi che portano avanti.
E sono io che ti chiamo, che ti chiamo ancora,
Con l'ultimo fiato che è rimasto in gola.
Siamo vivi, siamo in piedi,
Siamo tutto quel che sai,
Non fermarti, non fermarti mai.
Siamo nati per volare,
E per cadere prima o poi,
Non fermarti, non fermarti mai.

(Dolce resistenza)
Ogni volta che cado, è uno sparo nel cielo.
Solo allora Ti chiamo e mi ricordo di Te.
Sono ribelle e fallito, sono triste e tradito.
E continuo a domandarmi il perchè.
Poi mi alzo, pian piano e vedo più chiaro.
Ma poi cado di nuovo: è solo apparenza la certezza di me.
Ho bisogno di aiuto : "sono io che ti chiamo, che ti chiamo ancora, con l'ultimo fiato che è rimasto in gola".
E quando, alla fine, sparisce l'orgoglio, allora capisco qualcosa di più.
Ora sì che ho imparato, a chiamarTi per nome.
Il Fallito e il Tradito, sei Tu; l'Abbandonato e lo Stanco, sei solo e ancora Tu.
Se son nato per volare, è perchè da tutto questo sei già passato Tu.



Siamo volti lontani delle stesse città,
Siamo Cristi traditi, siamo luce di Allah.
Siamo ponti nel vuoto, siamo vite ai mercati,
Siamo lampi nel sole, siamo spari nel cielo.
Siamo fiumi assetati, siamo lacrime spente,
Siamo mappe perdute, siamo troppo di niente.
Siamo occhi malati, siamo inferni infiniti,
Siamo fiori di sale, siamo spari nel cielo.

(Spari nel cielo)


"Ecco la grande attrattiva del tempo moderno:
penetrare nella più alta contemplazione
e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo.
Vorrei dire di più:perdersi nella folla,
per informarla del divino,
come s'inzuppa un frusto di pane nel vino.
Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull'umanità,
segnare sulla folla ricami di luce
e, nel contempo, dividere col prossima
l'onta, la fame, le percosse, le brevi gioie (...)"
(Chiara Lubich - L'attrattiva del tempo moderno)

Fermarsi nella folla ed osservarla.
Guardare tutti, ad uno ad uno.
Tanto più quanto più hai fretta, tanto più quanto ti sembra di essere rigettato.
E scorgere in ogni volto di chi ti passa accanto quella storia unica e irripetibile, degna d'essere vissuta, bella quanto basta per essere amata.
Ci ho provato mille volte. Dal finestrino dell'auto, dentro il traffico di quest'impossibile città. In chi mi urta nella folla e in ascensore, nell'essere stretti in metropolitana. In chi è medico e in chi è ammalato, dentro la sofferenza e l'impazienza, nelle loro e nelle mie infedeltà.
Ma quell'attrattiva, ogni volta l'ho sentita.
E mi sono accorto che è vera.
Allora e solo allora lo sguardo si è fermato, dentro una corsa apparentemente senza senso e, penetrato nella più alta contemplazione, mi sono sentito inzuppato anch'io.
Come quel frusto di pane nel vino.


Lo sai mamma mia che freddo fa stasera
E quanti occhi senza niente accanto a me
Chissà se mai la finirà, chissà se tu mi rivedrai
Son sulla strada, la strada del davai

(La strada del davai)

Annina, Annina, un giorno sarò scrittore
Per non spegnere gli occhi e per non scordare
Annina, Annina, io sarò la voce
Di chi non ha niente che non sia una croce
E girerò per le mie valli
Finchè la forza reggerà
E lo farò finchè non ci sarà
Pane giustizia e libertà, pane giustizia e libertà...
Il ragazzo camminava, dove le Langhe sono un fiore
Il sole tramontava piano
Per il soldato e lo scrittore
(Pane giustizia e libertà)

Priviero l'ho conosciuto così, dentro la bellezza di queste due canzoni.
Non avevo mai trovato nessuno che avesse messo in musica - e lo avesse fatto così bene - tutto quel che avevo letto sugli italiani in Russia della seconda guerra mondiale e che non uscirà mai più dalla mia memoria.
La marcia del davai è lo sguardo di quei pazienti che ho incontrato e che purtroppo ora non vedo quasi più. Pane Giustizia e Libertà è il cuore di Nuto Revelli, ma è anche l'abbracciare insieme tutti gli altri, Eugenio Corti, Giulio Bedeschi e tutti quegli uomini senza "più niente che non sia una croce".Feci mio tutto questo un po' di tempo fa e ci scrissi sopra :"Russia"
Ora non saprei aggiungere altro che non sia preghiera.





Massimo Priviero

Saturday, May 17, 2008

BRINGING IT ALL BACK HOME

"Sono stato costretto a guardare la realtà con i miei occhi, ad ascoltare con le mie orecchie, a toccare con mano. Mi sono ricordato che, da qualche parte, c'era un cuore e, per quanto maltrattata, avevo un'anima. Così ero stato allevato e ben educato: era il caso di ricominciare da lì. Trovarmi altri maestri, nuovi insegnanti, vecchi insegnanti"

(Giovanni Lindo Ferretti)


Non sono mai riuscito ad imparare a suonare la chitarra.
Il che, per uno che porta il mio nome e che non perde occasione per interessarsi di musica, non è davvero il massimo.
Comunque quand'ero giovane ci avevo provato, almeno per un po' di tempo.
Ricordo che allora - erano appena iniziati gli anni ottanta - mi ero comprato in edicola una rivista-manuale per autodidatti, edita da una certa "Lato side". Arrivato a casa la aprii e - fantastico! - c'era davvero tutto: gli accordi, il metodo e pure due piccoli dischi di plastica, quei 45 giri così leggeri che se li prendevi in mano si piegavano letteralmente in due... Poi cominciai a guardare le canzoni da imparare man mano che si progrediva nell'apprendimento, ma il mio entusiasmo si affievolì. Cercavo Dylan e Neil Young, ma lì trovai dell'altro. C'era Bandiera Rossa ed altre canzoni più o meno dello stesso repertorio.
Tra tutte, anche una di un gruppo che non avevo mai sentito, dal nome per lo meno curioso: "CCCP fedeli alla linea". Perbacco, già allora il nome CCCP suscitava in me immagini cupe e da incubi notturni, che partivano dalle purghe staliniane per arrivare al KGB... E allora fedeli a che cosa? Ad un regime del terrore? Ma tant'è, erano tempi strani e questo gruppo di cantanti strano lo era davvero. Oltre tutto erano pure punk. Come i Sex Pistols, insomma, o i Clash. Già, che poi i Clash non erano mica un gruppo punk, ma questo è l'inizio di un'altra storia...
Così, alla fine, misi la rivista in un angolo e finii per non toccarla più, non mi pareva il manuale più idoneo per appropriarmi della tecnica chitarristica. E dopo un po' , purtroppo, misi da parte anche la chitarra, andando avanti solo ad ascoltare dischi.


Sono passati parecchi anni, i capelli cominciano a diventare grigi e c'è anche chi di capelli non ne ha proprio più. Accendo la tv, un giorno quasi per caso - lo faccio di rado, ormai, ne vale sempre meno la pena - e chi rivedo, all'improvviso? Ma sì, è proprio lui, Giovanni Lindo Ferretti, il leader e cantante degli ormai sciolti CCCP! Ed è riconoscibilissimo, stesso sguardo penetrante, ma che ora pare molto più dolce. E stesso tono di voce, come quando cantava Punk Islam: un po' più calmo forse, ma sempre netto e deciso.
Solo che adesso racconta di cose diverse, per esempio del libro che ha scritto e che narra della sua vita e di tante altre cose.



Il libro è uscito già da un paio d'anni, ma io l'ho letto da poco.
L'ho trovato qualche tempo fa, nella sezione "musica" di una famosa libreria milanese, ma in fondo con la musica c'entra davvero poco o nulla.
Reduce non è un libro di facile lettura.
Prima di tutto perchè il linguaggio di Ferretti non è facilmente assimilabile, così di primo acchito. E' prosa, ma rasenta la poesia. E allora va centellinato, letto e riletto, fatto proprio a poco a poco, perchè ogni capitolo del libro possa svelare la profondità che vi è dentro.  
Poi perchè il contenuto - autobiografia sui generis - è la storia di un percorso, che è sì autocritica, ma soprattutto fede ritrovata, non solo nel senso più pieno del termine, ma anche nella riscoperta delle proprie origini e tradizioni, la riconquista di un patrimonio che è faticosa esperienza di vita di coloro che ti hanno preceduto, donato la vita e cresciuto, spesso senza fronzoli e con tanti sacrifici.
E infatti lui si definisce un "reduce", uno che ritorna da una guerra, ma non quelle dei nonni, che magari da quelle vere, combattute con le armi, non erano neppure tornati; bensì da una guerra "dello spirito", come la definisce lui, peraltro non meno spietata e terribile delle altre.
Certo non tutto il contenuto del libro è condivisibile, ma il punto non è questo.  
La positività è dentro il desiderio, la risposta ad un bisogno, la scomparsa della paura di affrontare la realtà dopo la caduta dei pregiudizi.
Ed anche tanta umiltà e lucidità :

"E' l'Infinito, l'Indefinibile, che ci salva. Ci obbliga ad interrogarci su vanità, arroganza, potenza e prepotenza. Misericordia, compassione, carità, amore. Cos'è la verità?
E' l'Infinito, l'Indefinibile e il rapporto che noi instauriamo con Lui a permetterci la meraviglia, la commozione della bellezza, l'altro da noi esseri finiti.
E' la tensione ad aprire nel proprio quotidiano squarci traverso cui un po' di Infinito possa trapelare fino a noi a rendere la vita degna di ogni benedizione.
Dono infinibile che nessuno riuscirà mai a finire ma ognuno può vanificare per proprio libero arbitrio"


Alla fine, comunque, lo sguardo ribelle del punk, Ferretti lo conserva ancora ed in fondo è giusto che sia così.
All'intervistatore della RAI che gli chiede se la definizione di "punk cattolico" possa andargli bene, lui risponde sorridendo che le due cose possono andare tranquillamente d'accordo.
Ma lo sguardo sulla realtà del Ferretti di oggi è molto più maturo del giovane punk filosovietico che capeggiava le fila dei CCCP fedeli alla linea.
Ed è uno sguardo dal quale credo che chiunque possa imparare.
Già imparare... un giorno o l'altro, comunque, voglio provare a riprenderla in mano la chitarra.
In fondo, se c'è una regola che mi piace nella vita, è che non è mai troppo tardi.

Sunday, May 11, 2008

RUN, RUN, RUN


COLORIAMO LA CITTA'

Chi di noi non vorrebbe vedere la propria città,
invece che grigia per la solitudine el'indifferenza,
colorata dall'amore che avvicina le persone e costruisce la fraternità ?

Vorremo fare qualcosa, ma cosa ?
E da dove cominciare ?

Basterebbe una piccola Regola per cambiare il mondo.
C'è una parola scritta nel Vangelo che fa pensare.
Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te.
E' una legge universale, comune a tutte le religioni ed iscritta nel cuore di ogni uomo, talmente preziosa da essere chiamata
Regola d'oro.
Proviamoci fin d'ora a viverla, cominciando da chi ci sta accanto, anche in questo momento.


Chissà cosa deve aver pensato chi si è trovato a passare di lì per caso.
Me lo sono chiesto più volte ieri, ai giardini di Porta Venezia, a Milano, durante lo svolgimento della seconda edizione della RUN4UNITY, vivendo quel clima di festa e di fraternità, che vedi così di rado nelle nostre città.
Lo stesso clima che si viveva in tanti altri luoghi dei cinque continenti, unico teatro di una staffetta mondiale, promossa dai "ragazzi per l'unità" - i ragazzi del Movimento dei Focolari con tutti i loro amici - tutti a correre nei posti simbolo del pianeta, lungo le vie delle più grandi metropoli, per stendere sul mondo un arcobaleno di fraternità.

Ci sono gli Skortza, solida rock band e fratelli d'Ideale, ad infiammare con la loro musica gli animi dei giovani ed anche dei presenti più attempati. Canteranno anche "Run, run, run", vero e proprio inno della giornata. Poi le coreografie, preparate dai ragazzi. E soprattutto le testimonianze, anch'esse stralci di vita vissuta da loro, a dire ai loro amici, ma anche a noi adulti, che sì, è possibile davvero vivere così, dare la vita per chi ti passa accanto, costruire nel mondo frammenti di reciprocità.



Alle quattro parte la corsa. E' arrivato finalmente il nostro turno; i primi a correre sono stati quelli delle isole Fiji; finiranno i ragazzi di San Francisco, Vancouver, Lima e Santiago. C'è un entusiasmo nell'aria che ti pare d'essere alla maratona di New York. E c'è la gioia tipica dei ragazzi, ma anche la coscienza del passarsi un testimone che parla una sola lingua, una lingua che dice Unità. Nessuna contestazione al passaggio degli atleti e d'altra parte questa non è mica la torcia olimpica: con tutto il rispetto, qui si assiste a molto di più.

Quando mia figlia Chiara giunge all'arrivo mi dice entusiasta : "Papi, sono arrivata ottantottesima!" E la sua amica Maria, di rimando: "E io novantesima!". Sono felicissime, neanche avessero vinto il campionato del mondo. E a me sembra che il trucco sia nell'aria che stiamo respirando tutti, che sa davvero di paradiso.
Come a dire: sono cose dell'altro mondo in questo mondo, queste.



Finita la corsa, le premiazioni e poi via di nuovo a cantare, a ballare, a raccontarci di questa vita che ci ha preso. C'è anche il collegamento in diretta con Roma, in Piazza Navona: vi assistiamo sullo schermo gigante. E da là, loro ci collegano via internet con quello che sta succedendo negli altri punti del pianeta. Avevamo capito che era qualcosa di grande, ma vederlo dal vivo è davvero un'altra cosa.

Quando ce ne andiamo via, ormai quasi verso sera, penso a come definire tutto ciò che ho visto.
"Papà, è stata una giornata bellissima!", mi dice Andrea, 5 anni, il mio figlio più piccolo. Suo fratello Marco aggiunge: "così tante ore, sono passate in frettissima!".
E a me, allora, viene in mente una frase, quel testamento che Chiara Lubich ha lasciato a tutti noi prima di partire da quaggiù: "siate una sola famiglia".
Allora forse è questo ciò che ho visto e sperimentato insieme a tutti gli altri.
Ed è ora che riaffiora ciò che Chiara ci aveva promesso, seppure già malata, un po' di tempo fa: "Ci sarò come posso", aveva detto.
Difficile pensare che la sua presenza, che si è avvertita da lassù, potesse essere più forte di così.



Post Scriptum
Mentre scrivo questo post, all'indomani di una giornata straordinaria, mi vengono in mente le parole infuocate di Enzo Piccinini, un "amico" che non ho mai avuto la fortuna d'incontrare di persona. Aveva appena finito un incontro con altri giovani ed il suo maestro e professore universitario gli aveva obiettato: "Piccinini, queste sono cose da ragazzi: sono belle, sono vere, ma sono da ragazzi!". Quasi a dire, per gli adulti non potrà mai essere la stessa cosa. E lui, invece, a rispondere con passione: "la consapevolezza che mi è venuta chiara è che una cosa è riconosciuta vera perchè corrisponde e rimane per sempre così (...) ed è questa esigenza di vero, di bello, di giusto, di amare e di essere riamati, che chiamiamo cuore (...) e non è un problema di età".
Proprio così, il cuore che palpitava ieri ai giardini di Milano, come in centinaia di altri punti del pianeta.
Mi piace pensare che anche Enzo, ieri, abbia fatto famiglia con noi da lassù.

Thursday, May 08, 2008

LUCE RIFLESSA


"Ci vien da dire che la Bellezza è possibile, e ci viene voglia di gridarlo a tutti nella faccia. Perchè viviamo in un clima di lamentela costante, di telegiornali pornografici e di caccia a chi ha le mani più sporche delle mie... E pochissimi sono rimasti a partire dal buono che c'è. Il Grillo vive di luce riflessa, per dare voce a chiunque ci aiuti a guardare, prima ancora che ad agire. E di cose belle da indicarci a vicenda ce ne sono ancora tante, thanks God.
Questo fa di noi un popolo".

(Il Grillo Cantante, n° 16, 6 maggio 2008)

Non riesco ad impedirmi di citare qui l'ultimo editoriale de "Il Grillo cantante" e non perchè, in amicizia, sono coinvolto anch'io in questo bel percorso.
E' perchè queste parole mi rigirano nella mente da qualche giorno e mi sembra esprimano bene il concetto di reciprocità, che alla fine fa rima con felicità.
L'essere popolo, poi, è la conseguenza del fatto che sì, si può vivere davvero così, considerando l'altro come un dono.
Prendere in considerazione cioé il fatto che ciò che ti capita davanti, quello che ti trovi di fronte nell'attimo presente, è sempre - in ogni caso - un bene per te e per la tua vita, anche quando l'evento appare scomodo ed inatteso.
La differenza è solo il metodo, l'approccio, e tutto questo ha a che fare con l'amore, quello vero, quello con la A maiuscola e che non ti puoi dare da solo, se non chiedi aiuto ad un Altro, anche lui - ma guarda un po' - con la A maiuscola.

Allora sì che si vive di "luce riflessa", perchè quella luce è lo stesso Amore, che ritorna su di te.
E allora sì che scopri che "di cose belle da indicarci a vicenda ce ne sono ancora tante".
Perchè altrimenti - da solo - non te ne saresti mai accorto.

Saturday, May 03, 2008

BALDANZA


Cos'è il tempo che passa ?
Vorrei fosse sempre più prendere quei limiti e porli nel grembo di un Altro, perchè diventino quell'oro tra le mani di cui ho parlato poc'anzi.
Ma oggi, ripensando a quel Gesto di qualche giorno fa, mi è venuta in mente una parola: baldanza.
Ed ho ritrovato la lettera di un padre, colui che me la spiegò, un bel po' di tempo fa.
Da allora la meditai a lungo e divenne il mio vocabolario, il significato definitivo di quel termine.
E allora la metto qua, a far compagnia ad altre parole che, giorno per giorno, ho la fortuna d'incontrare nella vita.
E tutte a far rima con un'altra ancora, sempre più abituale: gratitudine.

"Man mano che maturiamo, siamo a noi stessi spettacolo e, Dio lo voglia, anche agli altri.
Spettacolo, cioè, di limite e di tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella Grazia che ci viene Donata e rinnovata ogni mattino.
Da qui viene quella baldanza ingenua che ci caratterizza, per la quale ogni giorno della nostra vita è concepito come un'offerta a Dio, perché la Chiesa esista dentro i nostri corpi e le nostre anime, attraverso la materialità della nostra esistenza"

(Luigi Giussani)